domenica 29 luglio 2007

Polaroid ColorPack II: caratteristiche, istruzioni per l'inserimento della pellicola, test.

AGGIORNAMENTO: Per i nuovi posts sulla Polaroid potete leggere il mio nuovo blog www.coagula.it.

Questo post è il primo di una serie in cui andrò ad eseguire test su una serie di vecchie macchine fotografiche che ho acquistato nelle ultime settimane da Ebay o dai soliti mercatini dell’usato. Spero che le informazioni che metterò insieme possano servire a qualcun altro, magari per capire se gli conviene partecipare ad un’asta per questi modelli o meno.
La prima macchina che vado a provare è una Polaroid Colorpack II.
Esistono moltissimi modelli differenti di Polaroid, e diversi tipi di pellicola, e chi volesse un esauriente elenco degli uni e degli altri può visitare il completissimo sito http://www.rwhirled.com/landlist/landhome.htm
Questo modello di Polaroid utilizza pellicole di tipo “100”. Su “Land List” trovate l’elenco completo dei codici delle pellicole di questo tipo, ma probabilmente quelle più utilizzate sono la 669 (a colori) e la 667 (in bianco e nero).
E qui apro una parentesi a proposito delle pellicole Polaroid. La casa madre ne ha ormai messo fuori produzione alcune tra cui la mitica “SX-70” che è quella utilizzata da modelli diffusissimi tra cui: Polaroid 1000, 500, 1500, 2000, 3000, Instant 1000, Sonar AutoFocus 5000, Supercolor AutoFocus 3500, Supercolor 1000, Pronto, Presto, e i primi modelli OneStep (per un elenco esaustivo rimando come al solito a Land List). Ma non temete: potete sempre utilizzare le pellicole 600 seguendo le istruzioni della stessa Polaroid (http://www.polaroid.com/sx70/en/index.html), oppure potete acquistare le nuove sx-70 Blend, insieme a tutte le altre pellicole Polaroid, su http://www.unsaleable.com/.
Ma torniamo alla nostra prova.
La Colorpack II ha un meraviglioso aspetto vintage, e occupa un sacco di spazio.






In primo piano potete notare la fessura attraverso la quale passeranno le foto.




Lo sportellino trasparente laterale serve come diffusore della lampada flash eventualmente inserita nell’apposito connettore.











Per aprire il dorso della macchina dobbiamo tirare questo gancio metallico.










Ecco l’interno della Colorpack II in tutto il suo splendore.






La macchina necessita di due normalissime pile AA da 1,5v. ATTENZIONE: Queste pile servono non solo per il flash, ma sono indispensabili per il corretto funzionamento dell'otturatore. Per sostituirle è necessario spingere e abbassare l’apposita linguetta per sganciarla, e poi tirarla.



La Polaroid accanto alle sue pellicole. Qui è visibile la “maniglia a T” per afferrare la camera durante lo sviluppo.Come dicevo la Colorpack II utilizza pellicole 669, le quali sono leggermente più complicate alle 600. Infatti, in questo caso le foto andranno estratte manualmente dalla macchina.


Estraiamo dalla confezione una delle due cartucce contenute. La cartuccia va tenuta per i bordi.


Inseriamola all’interno.

Ecco come appare la cartuccia inserita. La pellicola protettiva deve fuoriuscire dalla scatola plastica.
Solleviamo leggermente la pellicola protettiva e verifichiamo che le linguette bianche sottostanti siano tutte all’esterno della macchina.


Possiamo richiudere lo sportello posteriore, facendo fuoriuscire la linguetta nera della pellicola protettiva.


E richiudiamo con il gancio metallico


Tenendo appesa la macchina con la mano sinistra tramite il gancio a T, con il police e l’indice dell’altra mano, tiriamo in maniera decisa (ma senza strattonare in maniera improvvisa) la pellicola nera.


Ecco la pellicola protettiva estratta.



Al posto della pellicola nera ora fuoriesce una pellicola bianca con un numero sopra, il quale indica quale foto stiamo per scattare.



Il pulsante di scatto può essere girato in senso orario per mettere la “sicura”. Girandolo in senso antiorario, naturalmente, possiamo togliere la sicura.

Girando l’apposito anello possiamo decidere se l’esposizione deve essere più breve per ottenere fotografie più scure (Darken), o più lunga per ottenere foto più chiare (Lighten).

Per effettuare la messa a fuoco, giriamo l’anello dell’obiettivo in modo da vedere nella parte superiore la distanza del soggetto che dobbiamo fotografare.


Il selettore in alto, serve ad impostare la sensibilità della pellicola: 75 ISO (per la 669) e 3000 ISO (per la 667).

Possiamo scattare la foto tenendo premuto il pulsante rosso. L’esposimetro automatico terrà aperto l’otturatore per il tempo necessario, anche per diversi secondi.
Una volta scattata la foto, dovremo procedere allo sviluppo della stessa.Tiriamo la linguetta bianca con il numerino, come al solito tenendo la macchina dall’impugnatura a T. Così facendo al posto delle linguetta estratta troviamo una nuova linguetta con indicato il numero della successiva foto. Inoltre, attraverso la fessura è fuoriuscita un’altra linguetta bianca (potrebbe anche essere gialla) con delle frecce.



Ora, tirando questa linguetta estrarremo la foto vera e propria. La foto, passando attraverso due rulli, sarà cosparsa internamente di un gel che innesca il processo di sviluppo. Affinché la foto riesca bene, dovremo cercare di tirare la foto con un unico movimento stabile e deciso, ma senza essere troppo veloci.
Uscita la foto, dovremo attendere il tempo (di solito tra i 60 e i 90 secondi) indicato in una tabella stampata sulla confezione della pellicola. Per temperature più basse sono indicati tempi più lunghi.
Passato il tempo richiesto, possiamo dividere il negativo dalla foto stessa. ATTENZIONE: la pellicola contiene sostanze caustiche, ed è quindi bene non toccare le emulsioni ancora fresche.

Lasciate asciugare tutta la roba umida, e infine, staccate tutta la carta intorno alla foto vera e propria.La prima foto che ho fatto, è risultata un po’ troppo slavata. Forse per colpa del sole troppo forte, forse perché la pellicola che ho usato era scaduta da qualche mese, o forse ho sbagliato il tempo di sviluppo.

La seconda foto è un pò meglio.




In questo autoritratto i colori sono un po’ sul rosso, ma il motivo lo vedremo in un prossimo post………

domenica 8 luglio 2007

Tutorial Stereografia: come realizzare fotografie tridimensionali

Tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo indossato i classici occhialini con una lente rossa e una blu per vedere un film o delle foto con il fantasmagorico effetto 3d. I film 3d di questo tipo andavano di moda soprattutto negli anni 60, ma la “Stereography”, che si basa sullo stesso principio, sembra essere stata inventata adirittura intorno al 1860 da Oliver Wendell Holmes (per maggiori informazioni sulla storia della Stereografia vedi qui).
I visori e le relative fotografie stereo erano molto diffuse fino agli anni 40, e probabilmente anche voi nel vostro scantinato avete il famoso visualizzatore di stereofotografie Viewmaster http://en.wikipedia.org/wiki/View-Master (che tra l’altro è ancora in commercio http://www.fisher-price.com/us/view-master/).
Queste fotografie si basano sul principio che il nostro cervello determina il senso della profondità, tramite le differenti visioni date dai nostri occhi della stessa scena. Mi spiego meglio con un esempio.
Diciamo che questa è una scena vista dall’occhio sinistro.



Questa è la stessa identica scena vista dall’occhio destro.


A prima vista potrebbero sembrare identiche, ma essendo i due occhi distanti una decina di centimetri, variano quel tanto che basta. Se osservando dal vivo questa scena concentrassimo l’attenzione sul flacone di borotalco, i nostri occhi convergerebbero su di esso e senza accorgercene, gli altri oggetti risulterebbero “doppiati”.
Ecco quello che vedremmo osservando il borotalco.


Qui invece mettiamo a fuoco la conchiglia



Qui mettiamo a fuoco la bottiglietta


Questa convergenza degli occhi, oltre alla messa a fuoco, viene usata dal nostro cervello per determinare la profondità della scena. Nella stereografia si usa questo principio per ingannare il cervello e dare l’impressione di vedere una scena tridimensionale mentre sta guardando una semplice immagine bidimensionale.
Nella stereografia originale si affiancano le due immagini, e per visualizzarla correttamente, si devono far divergere gli occhi, fino a far sovrappore le due immagini. La tecnica è simile a quella usata per vedere gli stereogrammi.

NOTA: Per visualizzare le immagini stereografiche nella loro dimensione originale, cliccateci sopra.




Per realizzare queste foto per oggetti non in movimento, basta mettere la fotocamera sul treppiede, scattare la prima foto, spostare il treppiede lateralmente (senza ruotarlo) di una decina di centimetri, e scattare la seconda foto. Poi in un programma di fotoritocco affiancate le due immagini, stando attenti a usare le immagini di destra e sinistra nell’ordine giusto.
Questa tecnica non necessita di attrezzature particolari, ma permette di fotografare solo soggetti immobili. Per immortalare tridimensionalmente soggetti in movimento, è necessaria una macchina apposita con due obiettivi, ma data la natura puramente “ricreativa” di questa tipologia di fotografia, non mi sembra il caso di spenderci soldi. Oppure si possono usare due fotocamere affiancate e trovare un sistema per farle scattare insieme. O infine si possono usare due fotocamere affiancate al buio, si imposta un tempo di posa lungo, le si fanno scattare al buio, e con un flash si illumina il soggetto......mmmmmm......
Così ho fatto questa prova con il mio kit per l’high speed photography mostrato qualche post fa. Ecco il risultato.

Per ottenere un effetto preciso sarebbero servite due fotocamere identiche, ma non avendole, ho dovuto usare la Nikon D50 e la Canon Powershot 520. Però l’effetto è comunque divertente.

lunedì 2 luglio 2007

LOMO LCA Digital Simulation! Tutorial su come simulare l’effetto “Lomo” in Photoshop

Uno dei siti di fotografia che preferisco è http://www.lomography.com/. La Lomo è una vecchia industria Russa che ha realizzato per anni strumenti ottici per l’esercito sovietico e macchine fotografiche. In passato questi apparecchi fotografici si trovavano a poco prezzo nei mercatini dei polacchi, ma la leggenda vuole che alcuni studenti viennesi siano rimasti talmente affascinati dalle macchine della Lomo (in particolare della Lomo LCA) che hanno pensato bene di inventarsi la cosidetta Lomografia, e sono riusciti a farci un po’ di soldi. La storia completa è davvero affascinante (http://www.lomography.com/about/), e il sito della cosidetta “Lomograpgic Society” è fatto molto bene.
La lomografia si baserebbe su 10 regole che potete leggere direttamente sul loro sito ma, per riasumere, diciamo che si tratta di fare fotografia senza pensarci troppo, scattando a casaccio, senza nemmeno vedere nel mirino. Un vero e proprio invito alla sperimentazione fotografica. Ma in cosa consiste questo “effetto Lomo”? In sostanza la qualità non eccelsa delle macchinette economiche, russe e non, rende una leggera sfocatura soprattutto ai bordi, e una vignettatura (oscuramento dei bordi detto anche tunnelling) molto marcata. Questi elementi, che normalmente vengono considerati difetti gravi di una fotocamera, finiscono per dare alle foto un effetto “onirico”molto affascinante. Inoltre i Lomografi utilizzano spesso e volentieri il cosidetto X-process (sviluppo invertito), ovvero usano pellicole per diapositive e le fanno sviluppare come se fossero negativi (si può fare anche il contrario, ma non ho trovato nessun laboratorio disposto a farlo). In questo modo si ottengono colori molto accesi e falsati (http://www.lomography.it/x/ ). Lacosa affascinante è che il risultato è imprevedibile e irreversibile.
Se però siete dei digitalisti convinti potete cercare di simulare il cross processing in Photoshop. Su Internet ho trovato diverse tecniche per farlo ma non ne esiste una definitiva. Qui indico quella che utilizzo io.
Questa è la foto originale che ho preso a caso tra le mie per mostrare i passaggi necessari.



Prima di tutto cambiate il nome del layer background

Create una maschera



La maschera adesso dovrebbe essere già selezionata ma, se non lo fosse, selezionatela cliccando sulla sua anteprima. Con lo strumento sfumatura disegnate nella maschera una sfumatura circolare con i bordi in nero



Deselezionate la maschera cliccando sulla miniatura dell’immagine





Applicate l’effetto Lens Blur



Assicuratevi che come Source sia impostato Layer Mask.





Questo filtro renderà sfuocate tutte le parti dell’immagine indicate dal nero della maschera. Abbiamo così simulato l’effetto sfocatura ai bordi delle lenti delle macchinette economiche.





Eliminiamo la maschera facendo click col tasto destro sulla sua miniatura e selezionando Delete Mask.





Ora passiamo alla vignettatura.
Per la vignettatura il metodo migliore, a mio parere, risulta il filtro Lens Correction, che normalmente viene usato per eliminare la vignettatura, ma noi lo useremo per crearla.



Impostiamo un i valori di Amount e Midpoint (sperimentate con i valori).

Questo è l'effetto del filtro


Ora dobbiamo simulare i colori del cross processing. Per fare questo ritengo che il metodo migliore siano le curve. Quindi aggiungiamo un Adjustment Layer per le curve.

Purtroppo non è possibile indicare dei valori che vadano bene per ogni occasione, in quanto tutto dipenderà dai colori presenti nella foto e dai risultati che volete ottenere. Qui mostro dei valori che potete usare come base, ma sta a voi modificarli a seconda del gusto personale e della foto che state modificando. In ogni caso le modifiche alle curve vanno fatte un poco per volta in quanto basta davvero poco per falsare completamente i colori.



Con i valori da me usati, ho ottenuto un’immagine tendente al verde. Ricordo che nel pannello delle curve c’è il tastino Save per salvare le impostazioni scelte, in modo da ricaricarle in qualsiasi foto vogliate.
Volendo si può sperimentare aggiungendo un po’ di saturazione.

Questo è l'effetto finale che ho ottenuto


Per concludere, l’effetto Lomo è impossibile da simulare in maniera automatica, in quanto nella realtà dipende da una serie di fattori sempre diversi: la macchina, la pellicola, la carta, le scelte dello sviluppatore, etc. Tramite le curve però possiamo divertirci non poco per ottenere risultati simili.